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KABUL: ABATI GIRAVA CON LA SCORTA

Alessandro Abati 47 anni di Alzano Lombardo aveva paura, di questo ne erano a conoscenza gli amici che incontrava al bar di Bergamo, ogni volta che faceva ritorno al paese seriano, in compagnia della giovane conosciuta circa cinque anni fa ad Astana e che in Kazakistan era già diventata sua moglie. Alessandro è rimasto vittima nell’attacco dei talebani a Kabul di mercoledì sera, dove hanno perso la vita 14 persone delle quali 9 stranieri, sei feriti e 54 ostaggi liberati. Tra le vittime anche la 27enne che aveva sposato nel Paese dell’ex blocco sovietico, ma per la legge italiana serviva che il matrimonio venisse celebrato anche qui. Al momento dell’attentato la coppia si trovava al Park Palace Guest House, un hotel dove Abati alloggiava nella capitale afghana. Qui lavorava come consulente per la ricostruzione di infrastrutture nei Paesi ad alto rischio, quelli dove la guerra non è mai davvero finita.Ad aprile la coppia era tornata, avevano preparato tutto per il 18 luglio data del matrimonio a San Pellegrino Terme,  celebrato da Giuseppe Imberti sindaco di Casnigo, poi ai primi di maggio erano ripartiti per Kabul. Sandro,  dopo il diploma in ragioneria al «Romero» di Albino e la laurea in Economia in Città Alta, aveva costruito una professione molto particolare frequentando corsi, workshop e post laurea in Europa e negli Usa fino ai primi incarichi come consulente per enti governativi e ambasciate in giro per il mondo. A Kabul aveva aperto un ufficio, grazie al quale era riuscito ad introdursi nei complessi meccanismi dell’amministrazione afghana, aveva costruito un gruppo di lavoro con personale del posto e stava seguendo dei nuovi progetti che avrebbero dovuto impegnarlo ancora per qualche mese, almeno fino all’autunno. Gli piaceva questo lavoro, era un entusiasta. E non aveva mai avuto paura. Mai davvero. Era un esperto, non era un temerario, non un improvvisato. Diceva, senza vantarsene, che in Europa erano forse una decina a fare il suo stesso lavoro in Paesi così malmessi. Stavolta, però, qualcosa non andava. Diceva agli amici che sarebbe tornato in Italia prima se le cose laggiù fossero andate avanti come stavano andando negli ultimi mesi. Avrebbe mollato. Gli avevano assegnato una scorta per andare e tornare dall’ufficio, ma anche questo è servito a ben poco.
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