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DELITTO COLLEONI, SI PUNTA ALLA PERIZIA PSICHIATRICA

La difesa, che in primo grado aveva invocato l’assoluzione per Francesco Colleoni, il cuoco 35enne che è stato condannato a 21 anni per l’omicidio del padre, Franco Colleoni, ristoratore ed ex segretario provinciale della Lega Nord, nel cortile del locale di famiglia, “Il Carroccio” di Dalmine, il 2 gennaio 2021, nell’atto di appello confuta una serie di elementi. Il giovane - cui in aprile la stessa Corte ha concesso i domiciliari nel Bresciano per il suo profilo psicologico - non malvagio - è accusato di aver fatto cadere il padre durante un litigio, per poi ucciderlo sbattendogli ripetutamente il capo sul cordolo del vialetto. Francesco ha ammesso di aver litigato col padre e di averlo spinto. Da lì in poi è blackout nella mente del giovane. A suo carico ci sono il fatto che fosse l’unico presente quella mattina; che avesse una mano gonfia e delle escoriazioni sul volto che, nella foto scattata dalla madre poche ore prima, non sono visibili. In più, le intercettazioni in caserma, quando Francesco dice alla mamma: “L’ho spinto io!”, frase che per gli inquirenti sarebbe una confessione. Possibile, si chiedono i legali, che la felpa non sia stata investita dagli schizzi nella parte anteriore se il capo della vittima è stato ripetutamente sbattuto sul cordolo? “Si fa fatica - continua la difesa - a ipotizzare che Francesco Colleoni, asseritamente in preda a una irrefrenabile eccitazione (dovuta allo stato d’ira), abbia avuto la lucidità di stare attento a non sporcarsi di sangue”. Secondo gli avvocati, “è emersa la frettolosità degli inquirenti che, consapevoli di aver già trovato un colpevole, non si sono spesi in ulteriori accertamenti”. I giudici riconoscono che Franco Colleoni ha portato il figlio a uno stato di esasperazione per le continue vessazioni che il padre-padrone infliggeva. Per la difesa nella condotta dell’imputato possono essere ravvisati sintomi di patologia psichiatrica che, differenziandosi dagli “stati emotivi passionali” possono costituire “vizio di mente”. Pertanto gli avvocati sollecitano nello loro atto d’appello una perizia psichiatrica. La difesa chiude invocando l’assoluzione con la formula dubitativa. In subordine, la riqualificazione del reato in omicidio preterintenzionale o, ulteriore subordine, il riconoscimento dell’attenuante della provocazione.
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