Allarme suicidi in carcere a Bergamo
Nel carcere di Bergamo, la solitudine e la disperazione hanno assunto un volto concreto a metà giugno, quando un detenuto pachistano di 32 anni, senza fissa dimora e condannato per furto, ha compiuto un gesto estremo nella propria cella. Trasferito d’urgenza in ospedale, è morto dopo alcuni giorni in Terapia intensiva. Secondo il Garante nazionale dei detenuti, da gennaio al 7 luglio 2025 sono 37 i suicidi registrati nelle carceri italiane. Numeri che parlano di un malessere diffuso e trasversale: detenuti italiani e stranieri, uomini e donne, con pene lunghe o brevi, in attesa di giudizio o prossimi alla scarcerazione. Da questi dati si evince come il disagio psichico e sociale sia il minimo comune denominatore. Nel carcere di via Gleno a Bergamo oltre al decesso del 32enne, si contano altri 4 tentativi di suicidio e 15 casi di autolesionismo in poco più di sei mesi. A questi si aggiungono 55 manifestazioni di protesta individuale, come scioperi della fame o della sete. A detenere il triste primato, di questa situazione, la Lombardia con 7 suicidi registrati nei primi sei mesi dell’anno. Si riaccendono i riflettori sulla qualità della vita carceraria, soprattutto per quanto riguarda le condizioni di isolamento, la carenza di personale e l’insufficienza di supporti psicologici e sociali. Le associazioni che si occupano di diritti dei detenuti parlano di una bomba sociale pronta ad esplodere, alimentata da sovraffollamento, scarsità di progetti riabilitativi e abbandono delle figure più fragili. Non bastano le commemorazioni dopo ogni suicidio, commentano i cappellani, occorre un piano strutturato di interventi, formazione degli operatori, potenziamento del supporto psichiatrico e psicologico, oltre a una maggiore umanizzazione della detenzione.
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