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DELITTO ROVERI, MOSTRATA LA BORSA

Realizzata in un laboratorio artigianale di Mantova, in pelle scura, con ai lati alcuni fiorellini. Ecco la borsa che la manager Daniela Roveri, di 48 anni, aveva con sé la sera del 20 dicembre dell’anno scorso, quando è stata brutalmente uccisa con una coltellata alla gola nell’androne del palazzo, del quartiere di Colognola a Bergamo.Chi l’ha ammazzata con un taglio netto inferto con una lama affilata, si è portato via la sua borsetta. Non è più stata ritrovata. All’interno c’erano anche il suo cellulare, un iPhone 6 una fonte investigativa importante, e alcuni oggetti personali come il rossetto. Il killer non voleva lasciare tracce. A distanza di quasi un anno, ecco un’immagine di una borsa identica a quella della 48enne diffusa da chi indaga sul caso. Un delitto di cui ancora, oltre all’autore, non si conosce il movente. Le indagini, coordinate dal sostituto procuratore Davide Palmieri proseguono da quella sera. La manager svolgeva una vita normale. Abitava in un appartamento alla porte della città che divideva con l’anziana madre. Amava viaggiare, spesso con la nipote alla quale era molto legata. Non aveva ombre. Nel corso degli accertamenti sono solo emersi alcuni ingenti prelievi dal suo conto corrente, dai quali però sono spuntate piste investigative. Dirigente della Icra di San Paolo d’Argon, la sera del delitto stava rientrando a casa dopo il lavoro. Gli investigatori della Squadra mobile di Bergamo hanno battuto più piste. Quella passionale, quella lavorativa e quella dei vicini di casa. Ma nulla. Al di là delle varie ipotesi, resta un dato: quel Dna isolato in due tracce, su una guancia e sotto le unghie della vittima. Ora un aiuto alle indagini potrebbe arrivare dai Ris di Parma. Si sta in particolare analizzando il corredo genetico con quello ritrovato sul taglierino con il quale è stata uccisa la professoressa Gianna del Gaudio (ammazzata in casa sua, a Seriate, nella notte tra il 26 e il 27 agosto 2016). I Dna potrebbero essere legati da identiche porzioni di cromosoma Y, ossia la parte di Dna maschile che determina l’appartenenza alla stessa linea paterna. In pratica ci sarebbero tracce di due persone “imparentate tra loro o, addirittura, dello stesso uomo”. Il procuratore Walter Mapelli si è comunque mostrato cauto: “L’affermazione che possa trattarsi dello stesso uomo è al momento prematura e azzardata”. Anche perché l’aplotipo Y, unico Dna trovato a Colognola, può al limite stabilire un legame in linea maschile ma non identificare una persona in modo preciso.
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