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“NON CHIAMATELA CARNE”

“Non chiamatela carne”. La Carne coltivata in una provetta di laboratorio a partire da cellule staminali non è carne, si tratta di cibo sintetico. E’ il concetto ribadito a gran voce questo venerdì sera ad Orzinuovi dagli esperti chiamati dalla Coldiretti a dibattere sul tema che sembra fantascientifico ma che è realtà nel mondo con Governi che ne stanno autorizzando la produzione e la commercializzazione e con grandi multinazionali che si stanno accaparrando il business del 21esimo secolo. Uno scenario quello che si prospetta alle porte che Coldiretti sta combattendo, in cui vengono meno l’agricoltura, l’allevamento, la cura dei territori, delle loro economie e tradizioni e che mina quel patrimonio agroalimentare, insieme di prodotti di espressione del processo di evoluzione socioeconomica e culturale dell'Italia, di rilevanza strategica sul territorio per l'interesse nazionale. La Coldiretti ha raccolto più di un milione e mezzo di firme dimostrando che gli italiani sono scettici al riguardo e il Governo ha approvato un disegno di legge che vieta l’utilizzo in Italia di prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati. Primo Paese l’Italia, in questo, ma serve il sostegno dell’Europa per arginare la deriva del mercato della carne coltivata che sta prendendo piede nel mondo spinta da motivazioni etiche, ambientali e da ragioni sanitarie che i relatori del convegno hanno confutato. Da carne in vitro, sulla spinta nella nascente industria della carne coltivata, sono stati coniati nuovi termini, come quello di carne pulita. La battaglia dell’industria alimentare oggi – ha sottolineato anche Paolo Zanetti presidente di Assolatte, si gioca anche sui termini utilizzati per fare leva sull’opinione pubblica ed ingannare il consumatore. Questo chiarisce anche il disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri, spiegato dal presidente della Nona Commissione permanente del Senato Luca De Carlo, che ha illustrato la linea del Governo che è propria anche di Regione Lombardia, come sottolineato dall’assessore all’agricoltura Alessandro Beduschi. Altra minaccia alle porte degli allevamenti, la peste suina che mette a repentaglio il più grosso distretto suinicolo in Italia, quello di Brescia, del valore di quasi 300 milioni di euro, per oltre 1,2 milioni di capi.
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