Referendum: chi dice no e perché

“Una crociata ideologica che ha nulla a che fare con la vita dei lavoratori”. Così Italia Viva definisce i referendum popolari chiesti a gran voce dalla Cgil e indetti per l’8 e il 9 giugno. Italia Viva in particolare dice NO al quesito 1, quello che chiede l’abrogazione della disciplina sui licenziamenti nel contratto a tutele crescenti introdotto nel 2015 dal governo Renzi con il Jobs act e in particolare di cancellare quelle norme che prevedono che nelle imprese con più di 15 dipendenti i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 in poi non abbiano più diritto al reintegro nel proprio posto di lavoro dopo un licenziamento illegittimo, anche nel caso in cui il giudice lo dichiari tale, ma solo a un indennizzo economico. “I problemi dei lavoratori oggi sono gli stipendi troppo bassi e le bollette troppo alte, non certo leggi di dieci anni fa del Jobs act che hanno dimostrato di funzionare” – affermano dal partito di Matteo Renzi, autore proprio del Jobs Act che si oppone anche alla volontà della Cgil, con il quesito n.3, di reintrodurre la causale obbligatoria per tutti i contratti a tempo determinato. “Il contratto a termine non è sfruttamento, garantisce pensione, tfr, malattia e disoccupazione e non va contrastato con cavilli burocratici che come effetto avrebbero solo quello di scoraggiare le assunzioni, ma vanno usati nel modo giusto” – è l’opinione di Italia Viva che invece concorda sul quinto quesito, quello che vuole dimezzare da 10 a 5 anni il tempo minimo ininterrotto di residenza legale in Italia per ottenere la cittadinanza italiana per un maggiorenne. Quesito, quello sulla cittadinanza, a cui si oppongono Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. Dice quattro no ai referendum promossi dalla Cgil anche Europa Radicale che parla di referendum propagandistici che peggiorano la situazione dei lavoratori del Paese. Nello specifico il primo referendum ridurrebbe i mesi di indennizzo per i lavoratori licenziati nelle medie e grandi aziende,;il secondo mira a togliere il tetto di indennizzo per i lavoratori licenziati nelle piccole aziende sotto i 15 dipendenti, con il risultato che un giudice potrebbe ordinare indennizzi miliardari causando la chiusura dell’azienda; il terzo vuole mettere lacci al contratto a tempo determinato che già oggi ha regole precise per essere utilizzato e oggi è lo strumento privilegiato per l’ingresso al mondo del lavoro che quindi non va disincentivato; il quarto referendum mira, in caso di infortunio sul lavoro, ad estendere la responsabilità anche all’impresa committente, che ha appaltato i lavoro, ma senza che questa abbia la possibilità di controllare le condizioni di lavoro dell’impresa appaltatrice. “Dobbiamo costruire riforme che guardano a dell’Europa non a dieci, venti e trenta anni fa” – affermano i radicali che ha dato vita al Comitato per il NO. Non si sono apertamente dichiarati per il NO ai quesiti che riguardano il lavoro Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia, che usano invece la strategia dell’astensionismo. I referendum abrogativi, infatti, sono validi solo se partecipa al voto almeno il 50 per cento più uno degli aventi diritto. 

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