Maxi truffa da 30 milioni, 9 fermati
Nove persone sono state fermate all’alba di questo giovedì 11 dicembre dalla Polizia di Stato nell’ambito dell’inchiesta sulla maxi-truffa che ha colpito l’Opera di Santa Maria del Fiore, la storica onlus che gestisce il Duomo di Firenze, il Campanile di Giotto e il Battistero di San Giovanni. L’operazione, coordinata dalla Procura di Brescia, ha interessato le province di Brescia, Milano, Bergamo, Lodi, Prato, Rieti e Vicenza. Per un decimo sospettato è stata dichiarata l’irreperibilità. Le accuse sono pesanti: emissione di fatture per operazioni inesistenti, riciclaggio e autoriciclaggio. Gli investigatori parlano di un sistema sofisticato, messo in piedi in appena sei mesi, capace di generare movimenti illeciti per circa 30 milioni di euro. Di questi, almeno 2 milioni sarebbero stati sottratti direttamente all’Opera del Duomo. Secondo la ricostruzione degli inquirenti al centro del meccanismo ci sarebbero due fratelli italiani, veri intermediari del sistema: cercavano i clienti interessati al riciclaggio, mettevano a disposizione società “cartiere” intestate fittiziamente e favorivano il contatto con alcuni cittadini cinesi residenti tra Milano, Vicenza e Prato. Da questo network nasceva la rete di false fatturazioni: le società emettevano documenti fiscali inesistenti e ricevevano pagamenti su conti accesi all’estero, tra Cina, Lussemburgo, Polonia, Germania, Spagna, Lituania, Nigeria e Croazia. La base logistica del gruppo era un appartamento di Milano, descritto dagli investigatori come un autentico “centro di stoccaggio del denaro contante”. Il sistema prevedeva che, una volta incassati i bonifici, il denaro venisse riconsegnato ai clienti tramite corrieri, gli “spalloni”, che partivano da Brescia. Le consegne erano regolamentate da un codice di sicurezza: un pin da mostrare per confermare l’identità degli incaricati. Per il servizio, gli organizzatori trattenevano una percentuale compresa tra il 2% e il 7% a favore dei gruppi cinesi, oltre a un ulteriore 2% destinato ai due intermediari italiani. La truffa, spiegano gli investigatori, seguiva lo schema del “man in the middle”. I due fratelli, in accordo con un cittadino nigeriano e alcune cittadine cinesi, avrebbero dirottato il denaro su conti esteri per poi farlo rientrare in contanti, consegnati a mano. Un meccanismo complesso, studiato per far perdere le tracce dei flussi finanziari e ripulire ingenti somme. Le indagini, partite nel marzo 2025, proseguono ora con le perquisizioni in numerose società collegate al circuito delle false fatturazioni. Il lavoro della Procura di Brescia punta a ricostruire l’intera filiera e a individuare eventuali ulteriori beneficiari del sistema illecito.
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