Secondo le autorità tunisine, Nasredine Ben Dhiab, avrebbe prestato giuramento all'Isis, ma i suoi famigliari, dicono di non credere alle accuse. A distanza di una settimana, dall'espulsione del tunisino 23enne residente ad Edolo, il fratello maggiore che lavora nel comune dell'alta Valle Camonica e che in un piccolo appartamento di via Cesare Battisti, viveva con Nasredine Ben Dhiab, afferma di non essere stato testimone del percorso di radicalizzazione del fratello, tanto che quando gli agenti della Digos di Milano si sono presentati a casa loro, nessuno aveva idea del perché. La notizia della presenza in paese di un potenziale terrorista vicino all'Isis, aveva sorpreso tutti coloro che con il 23enne avevano condiviso gli anni di scuola oppure che lo avevano incontrato in giro per il paese. Un ragazzone fedele all'Islam ma all'apparenza innocuo, da 11 anni in Italia, da quando aveva raggiunto il padre nel nostro Paese. Secondo le forze d'intelligence invece, era nella vita virtuale, nei suoi contatti su facebook, che il giovane avrebbe mostrato segni di una pericolosa fidelizzazione allo Stato islamico, tanto che sarebbe stato raggiunto da un messaggio di un conoscente legato agli ambienti terroristici siriani, che invitava il giovane a colpire in Italia sulla scia degli attentati in Francia e in Belgio. Insomma, oltre a fare propaganda dell'Isis in rete, sarebbe stato anche in contatto con soggetti impegnati in Siria. Per questo, prima delle festività legate al Capodanno quando l'allerta terrorismo era massima, il 23enne è stato raggiunto dal decreto di espulsione firmato dal Ministero dell'Interno ed imbarcato sul primo volo per Tunisi, dove è stato condotto in carcere. Nell'ultimo anno sono 66 le persone espulse dal territorio italiano, 132 dal 2015 ad oggi. Dalle carceri italiane inoltre, arrivano i dati aggiornati al 30 dicembre, che riferiscono di 172 detenuti «monitorati», perché accusati direttamente di reati connessi al terrorismo internazionale o ritenuti di interesse per «atteggiamenti che rilevano forme di proselitismo, radicalizzazione e/o reclutamento». Poi ce ne sono 64 «attenzionati» per via di «atteggiamenti che fanno presupporre la loro vicinanza alle ideologie jihadiste». Infine, sul gradino più basso della presunta pericolosità, si contano 137 «segnalati»: soggetti sui quali dalle prigione sono arrivate informazioni generiche sui quali sono in corso approfondimenti.